
La disciplina in materia di riscaldamento condominiale è particolarmente complessa, in quanto, negli ultimi decenni, alle norme di tipo privatistico, relative ai diritti sull'impianto condominiale ed alla ripartizione delle spese, si sono sovrapposte norme di diritto pubblico a tutela dell'ambiente, volte a contrastare l'inquinamento ed a ridurre i consumi energetici. Si è assistito così ad una proliferazione di leggi e regolamenti, statali e regionali, di adeguamento anche alle direttive europee. Dagli anni '90 in poi, la finalità del contenimento energetico in ambito condominiale, è stata perseguita dal legislatore, con leggi e decreti che hanno disciplinato tempi e modalità di utilizzo dell'impianto di riscaldamento centralizzato. Prima di passare all'esame della materia, si deve premettere che il riscaldamento delle singole unità immobiliari all'interno di un condominio, può essere ottenuto tanto attraverso un impianto unico che serva l'intero fabbricato, quanto attraverso una pluralità di impianti per ciascuna unità. Nel primo caso si è in presenza di un impianto centralizzato, la cui caldaia, tubature e allacci di diramazione, costituiscono bene comune, ai sensi dell'articolo 1117, comma 1, n. 3 del codice civile. Nel secondo caso, diversamente, ogni impianto è in proprietà esclusiva del singolo condomino. Entrambe le soluzioni presentano vantaggi e svantaggi: l'impianto centralizzato solitamente è più efficiente ed economico, essendo dotato di una caldaia più grande e comportando la ripartizione della spesa relativa alla sua installazione, sostituzione e manutenzione; quello autonomo, di contro, può essere gestito liberamente dal singolo condomino, sia riguardo gli orari di accensione, sia riguardo l'impostazione della temperatura desiderata. La scelta, in ogni caso, non può prescindere dal principio del massimo contenimento del consumo energetico.
Una prima organica disciplina sulle caratteristiche, modalità e limiti di utilizzo dell'impianto di riscaldamento è stata introdotta con la